Michelino e il tesoro dei briganti: Cap. 7 - Nel bosco di querce
    Il bosco iniziava con bassi arbusti cespugliosi che, a mano a mano che si proseguiva lungo il sentiero, diventavano alberi sempre più grandi e più fitti. Finalmente poteva fare la conoscenza di queste famose querce. Che foglie buffe che avevano, tutte giri-giri! Michelino ne raccolse una e la osservò con attenzione: era piccola e rigida, con la parte superiore di un bel verde lucido e il rovescio più chiaro ed opaco, sembrava ritagliata con le forbici nel cartoncino.
    Era bellissimo camminare in quel bosco: la luce dorata del sole del pomeriggio filtrava tra i rami e le foglie, dividendosi in tante macchioline di colore che vibravano felici ad ogni minima folata di vento.
    Dopo un po’ di strada gli alberi si diradarono, la luce si fece più intensa e il nostro cacciatore di tesori si ritrovò in un largo spiazzo erboso, su cui si affacciava una costruzione bassa, circondata da alcune imponenti querce secolari. Michelino ebbe un balzo al cuore: era quella la masseria delle Cento Catenelle?
    Si avvicinò pian piano, quasi con timore, ma presto si rese conto che la casa era completamente abbandonata. Dall’esterno sembrava una costruzione molto robusta, tutta di blocchi quadrati di pietra, ma l’interno presentava uno spettacolo di completa desolazione: il tetto con le sue tegole non esisteva più, solo alcune travi marce penzolano dentro le stanze, non c’erano più le porte né gli infissi alle finestre, mancavano perfino i pavimenti e quello che doveva essere stato un grande camino giaceva in un cumulo di macerie di fronte a una parete annerita dal fuoco.
    Più che l’usura del tempo, quella sembrava l’opera di qualcuno che avesse cercato di smontare la masseria per portarsela via pezzo per pezzo. Che spettacolo triste! Michelino andò a sedersi pensieroso su un sedile di pietra all’aperto, con la schiena appoggiata alla facciata della masseria.
    “Geek, geek, a che pro star lì a guardare, qui più nulla hai da rubare” disse una vocina alle sue spalle.
    Michelino si voltò e vide che sul muro dietro la sua testa era attaccato con le sue buffe zampe a ventosa un grosso geco color sabbia.
    “Geek, geek, te l’ho detto, puoi andare, nulla c’è che puoi portare”.
    “Ma io non sono un ladro!”.
    “Non sei ladro, non bandito, perché mai sei allor venuto? Geek, geek”.
    “Io, io veramente sto cercando il tesoro nascosto dai briganti, tanto tempo fa”.
    “Questa è bella, questa è buona, sembra proprio una panzana. Geek, geek, geek”.
    “Senti geco, tu lo sai come si chiama questa masseria?”.
    “Era scritto su uno stemma con un lupo e quattro chiavi, che è sparito con le porte, i mattoni e gli architravi. Geek, geek”.
    “Oh, forse quei ladri hanno trovato anche il tesoro … Sai, io ho sognato che i briganti lo nascondevano sotto una grande quercia, anche se la storia del nonno parlava di un pozzo”.
    “Geek. Anch’io faccio mille sogni, d’esser liscio e blu turchese, un ramarro canadese, poi mi sveglio e sono geco, tutto rughe e un poco cieco. Geek”.
    Di animali strani ne aveva incontrati diversi fino a quel momento, ma questo li batteva tutti.
    “Querce ne hai quante ne vuoi, e anche un pozzo, caso mai. Geek, geek”. Così concluse il geco poeta e se ne andò come era venuto, senza il minimo rumore.
    Michelino era stanchissimo, e anche un po’ deluso da quella ricerca infruttuosa. Cosa doveva fare, adesso? Scavare sotto tutte le querce intorno alla masseria? Vedere se c’era davvero un pozzo? Così pensando, chiuse gli occhi per riposarsi un po’, e si appisolò.
 
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