Il re solitario
    C’era una volta un re, che viveva tutto solo in un alto castello, in cima in cima ad un’alta montagna. Ogni giorno, un messaggero saliva al castello con le notizie del regno, ogni giorno a mezzogiorno, e poi ripartiva veloce come il vento, portando con sé gli editti, le leggi e i proclami che il re aveva preparato.
    Il re aveva una calligrafia molto bella, elegante e curata. Egli amava molto scrivere, non per il bisogno di raccontare e disporre, ma per il puro piacere che provava a tracciare segni sulla carta, con pazienza, lentezza e precisione.
    Ma il suo era un regno tranquillo, dove a volte pareva non succedesse nulla di importante, e così il messaggero si limitava spesso a portare notizie di matrimoni, nascite e morti, oppure echi di eventi lontani, che accadevano al di là dei confini. In quelle situazioni, il re non aveva sentenze da emanare, litigi da dirimere o disposizioni da dare, e allora si impegnava a inventare poemi, così, per diletto, e per avere qualcosa da scrivere.
    Ogni qual volta il messaggero giungeva al palazzo del consiglio, i ministri del regno si riunivano per esaminare le missive del re, ciascuno secondo le proprie competenze: le sentenze il ministro della giustizia, le nuove leggi il ministro dell’interno, le ordinanze sanitarie il ministro della salute, le istruzioni militari il ministro della guerra, …
    Ogni tanto dalle carte saltava fuori una poesia, un’epigrafe, o finanche un breve racconto. I ministri sollevavano allora lentamente lo sguardo dai propri registri, per scrutarsi tra loro con cautela, badando ognuno di non mostrare il proprio pensiero, ma cercando di cogliere nell’altro una qualche traccia di complice disappunto.
    Il ministro dei bambini, che conosceva bene i sentimenti dei suoi colleghi, faceva allora un colpo di tosse risolutivo, raccoglieva le composizioni del re e le passava al capo scrivano, perché ne facesse copia per tutte le scuole del regno.
 
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