Raggiunta Bab Zuwailya, svolto nella al-Khiyamiyya, piena di negozietti che espongono belle tende di panno decorate con arabeschi e disegni floreali, e proseguo verso la as-Surughiyya. E’ realmente difficile rendere l’atmosfera di queste strade: non è l’esotismo del bazar orientale, con la sua abbondanza di merci, profumi e colori, che colpisce di più, ma la stordente varietà del caleidoscopio umano, in cui la miseria e il dolore sono trasfigurati dalla vitalità di un incessante traffico di scambi e di incontri. Viste forti, come un biciclettone pedalato con le braccia da un uomo senza gambe. O un mendicante piuttosto giovane, talmente cencioso e impolverato da confondersi con la terra e da non lasciare distinguere se le gambe le ha o no, che mi ringrazia e ringrazia <thank you, thank you, thank you> per il mezzo pound che gli ho dato. Lungo la strada sostano molte donne, accovacciate per terra vicino alle loro bancarelle o semplicemente a grandi ceste piene di frutta, verdura, ricotta, formaggio fresco, spezie o bustine riempite di bevande colorate – verdi, azzurre, arancioni – che non riesco a identificare. O ancora gabbie stipate di animali da cortile, galline, pulcini, papere, conigli. Sono donne energiche, fiere, acconciate con abiti variopinti, occhi a volte pesantemente sottolineati con il nero del kohol e tatuaggi di hennè sulle mani. Hanno l’aria di venire da villaggi di campagna, di non essere cittadine, e sono assolutamente allergiche alla macchina fotografica. Seduti in terra con grandi vasche di plastica piene di pesce tra le gambe, giovani venditori sono intenti ad allontanare le mosche dalla loro merce, pescata in qualche sobborgo sul Nilo. Le mosche non si lasciano però intimidire e sciamano a nugoli tra i rifiuti che si accumulano sotto le bancarelle, insieme a cani e anche qualche capretta, che gironzolano alla ricerca di qualcosa da rosicchiare. Le mosche sembrano anche i migliori clienti di alcune infime macellerie, bugigattoli che espongono all’aperto pezzi di carne appesi ad uncini. Vi sono anche negozi più curati, che espongono la loro merce rigorosamente ordinata e impilata, mercerie, negozi di tessuti, vestiti, scarpe, drogherie con i sacchi pieni di lenticchie, riso, pasta, erbe e spezie. I venditori ambulanti spingono i loro carretti tra la folla e ogni tanto si fermano per servire spremute, gelati, piatti di pasta o di riso, pannocchie di granturco arrostite, fûl e frittelle di felafel. Nel frattempo biciclette e moto sfrecciano zigzagando tra la calca e anche taxi, furgoncini e carretti trainati da muli o asini cercano di farsi largo a colpi di clacson e imprecazioni. I bambini sono ovviamente dappertutto, ammiccano, salutano, sorridono, corrono, saltellano. Mentre sosto seduto a un tavolino di un caffè all’aperto, un bimbo molto serio ed educato mi avvicina e si informa sulla mia provenienza, la mia professione, lo scopo della mia visita in Egitto, Si appunta poi il mio nome e vorrebbe venirmi a trovare in albergo, per praticare l’inglese. In un angolo vedo un gruppo di ragazzini assembrati intorno a un televisore dai colori sbiaditi, collegato a una playstation nuova nuova; due di loro pilotano con i joystick le auto da corsa del videogioco. In una piazzetta alla fine della strada, un vecchietto dall’aria sognante è seduto immobile in terra a fumare la shisha, indifferente al tumulto di mezzi e persone che gli ruotano intorno. Dai suoi occhi penetranti eppure seraficamente distaccati sembrano emergere le immagini senza tempo di questo medioevo perenne.
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