Il convegno è andato mediamente bene e, a conclusione di una giornata lunga e faticosa, siamo tutti a cena nel lussuoso ristorante situato all’ultimo piano del Meriden. Il clima è piuttosto formale, almeno all’inizio, ma presto mi ritrovo a fare una lunga chiacchierata con Hesham, uno dei responsabili della software house egiziano-americana, che mi siede accanto. Gli racconto del mio interesse per l’Egitto, delle impressioni che mi sono fatto in queste brevi permanenze al Cairo, e gli rivolgo le domande che faccio un po’ a tutti: come vede lui le cose? Verso dove sta andando il paese? Sembra che Hesham non aspetti altro, le sue parole rivelano una rabbia compressa, di chi si è a lungo interrogato sui mali del mondo in cui vive ed è pronto a lasciarsi andare in un consapevole sfogo. <Gli arabi hanno rovinato l’Egitto>. Per lui gli “arabi” sono la gente del Golfo, dell’Arabia Saudita, degli Emirati, del Qwait. <Quella gente lì è piena di petrodollari ma non ha cultura, sono pastori nomadi arricchiti che hanno trasmesso agli Egiziani, emigrati negli ultimi trent’anni in quei paesi per lavorare nell’industria del petrolio, abitudini rozze e incivili >. <Sono tornati dal Golfo con la macchina, il camicione e la barba lunga, hanno imparato a mangiare come animali, buttando i rifiuti per la strada. Sono diventati intolleranti, oscurantisti, fanatici e ipocriti, distorcendo la religione e ripudiando la cultura>. <L’Islam non c’entra nulla con le barbe lunghe, i veli alle donne e il bagno a mare vestiti. Le banche islamiche, dove non vi sono interessi fissi, si deposita il denaro e se va bene si guadagna, se va male si perde, sono istituzioni ipocrite: il loro denaro finisce tutto in qualche banca svizzera, che ne fa quello che gli pare. La vera religione è un fatto individuale, che non si esaurisce nell’esteriorità. L’Islam è incompatibile con l’intolleranza, la trasandatezza, la sporcizia>. <We have lost our finesse>: Hesham parla del Cairo e dell’Egitto come luoghi che cinquant’anni fa avevano tutto, la cultura, il prestigio, l’autonomia, la tradizione, e che oggi sono decaduti miserevolmente e irrimediabilmente. E per quanto riguarda la politica? <Gli USA sono i padroni dell’Egitto. Appena si muove qualcosa, loro arrivano e bloccano tutto. Anche questa storia dei terroristi islamici, l’attentato di Luxor, e la crisi dell’economia del turismo che ne è seguita, alcuni dicono che dietro vi sia la CIA, che sia stato un avvertimento al paese e al governo: se vi muovete in autonomia, sono guai>. Fondamentalmente, Hesham non sembra però avere delle risposte, forse anche perché, imputando tutti i mali a cause esterne (gli arabi del Golfo, gli americani), secondo un vecchio vizio degli arabi, non riesce ad analizzare le cause più profonde legate a fattori strutturali, economici e politici, propri della società egiziana. D’altronde, Hesham ha lavorato a lungo negli Stati Uniti, prima di decidere di tornare in Egitto. Straniero oltre oceano, si ritrova un po’ straniero anche qui, scisso tra una identità “moderna”, nutrita di nuovi stili di vita e sistemi di idee, e le sue radici culturali, religiose e sociali, con cui non riesce però più a identificarsi pienamente. Rientrato nella mia stanza d’albergo mi butto a peso morto sul letto, determinato ad un lungo sonno ristoratore. Ma non è cosa, una musica ritmata e invadente mi costringe ad uscire sul balcone a vedere cosa succede. Lo spettacolo è quanto meno singolare. Giù al piano terra, sullo spiazzo esterno che si affaccia sul Nilo, è allestito una specie di studio televisivo all’aperto, con tanto di impianto luci degno di un concerto rock e ben tre cameraman che armeggiano intorno alle loro telecamere, uno addirittura su una giraffa mobile. Ai bordi della piscina circolare è disposto un sontuoso buffet, con grande via vai di camerieri in giacca bianca; poco distante vi sono un palchetto con l’orchestra e un grande palco rivestito di panno verde, con sopra un solitario divano. Il palco ha alle spalle un fondale di piante ed è addobbato da una fitta luminaria di piccole lampadine bianche, che corrono su fino alle scale che portano alla hall dell’albergo. Ad un certo punto l’orchestrina accenna un motivo musicale e tra scrosci di grida, trilli ed applausi entrano in scena i protagonisti della serata: due sposi, che lentamente percorrono il sentiero luminoso e vanno a sedersi sul divano. Per una buona mezz'ora la coppia distribuisce saluti e sorrisi, esponendosi con stoica e composta regalità ai flash dei fotografi e alle luci degli operatori televisivi, poi la musica reclama il suo spazio. Sulle note di alcune arie egiziane cantate da una sobria ed elegante cantante, una bellissima e prosperosa danzatrice ci regala i suoi passi leggeri e nervosi, i piedi nudi con le caviglie ornate di bracciali, gli scarsi vestiti svolazzanti che cambia ad ogni canzone, le spalle, i seni e le anche che ondeggiano sinuosi. La belle époque dei potenti.
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